La scomparsa delle api, che minaccia l’alimentazione mondiale, non dipende da nulla di misterioso, non è legata a una catastrofe naturale: le api muoiono a causa dei pesticidi, a causa dell’iperselezione, a causa dei parassiti che si sono moltiplicati per l’intervento dell’uomo.
Un terzo di quello che mangiamo non esisterebbe senza il lavoro delle api.
Può sembrare un’affermazione eccessiva, ma non è così. Senza l’azione delle api impollinatrici il ciclo naturale della fecondazione non potrebbe avvenire. Per questo la vita dell’uomo è da secoli legata alla presenza delle api.
In questo libro, il regista Markus Imhoof, insieme al giornalista Claus-Peter Lieckfeld, ci guida in un viaggio che, seguendo le tracce delle api, ci porta dalle Alpi svizzere alle distese agricole americane, ai laboratori più avanzati nella ricerca naturale, alla Cina e alle terre irrimediabilmente modificate dalle monoculture. Una documentazione unica e drammatica dell’evoluzione che rischia di cambiare in modo radicale le condizioni di vita dell’uomo. E non certo in meglio.
«Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita». La frase attribuita al Nobel per la fisica Albert Einstein contiene un avvertimento da non sottovalutare. Le api ricoprono, infatti, un ruolo essenziale per l’intera umanità, contribuendo al mantenimento della biodiversità. Si stima — ad esempio — che il 76 per cento del cibo che mangiamo sia frutto del loro lavoro di impollinazione. Questo prezioso insetto è sempre più messo in pericolo dai cambiamenti climatici, dall’inquinamento, dall’uso intensivo di fitofarmaci per l’agricoltura e dalle malattie. Tutti fattori che rischiano di portare a una vera e propria catastrofe ambientale, trasformando «il secolare tra uomo e ape in una guerra tra civiltà e natura», come denunciato nella prefazione di Non solo miele. Un mondo in pericolo, scritto da Markus Imhoof, regista svizzero, e Claus-Peter Lieckfeld, giornalista tedesco, recentemente tradotto in italiano e pubblicato da Xenia Edizioni.
Il libro è accompagnato dal DVD del documentario Un mondo in pericolo (titolo originale: More Than Honey), che racconta visivamente il viaggio nel mondo delle api narrato nel libro. Il documentario è stato scelto per rappresentare la Svizzera agli Oscar 2014 come miglior film straniero.
Api e fiori, la storia d’amore più antica del mondo
Conoscere questi insetti è la chiave per proteggerli da quelle che nel volume vengono chiamate «le tre P»: pesticidi, parassiti e perdita di habitat. Ma cosa insegnano le api all’uomo? «Ci insegnano, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che tutto è interconnesso. L’ambiente in cui viviamo noi e le api è molto complesso: se distruggiamo alcuni dei loro habitat, questa distruzione avrà ripercussioni molto pesanti non solo sulla vita delle api, ma anche su di noi. Come l’utilizzo di alcune sostanze velenose, sommato ad altri problemi, diventerà mortale per le api e non farà per niente bene neanche all’uomo», racconta Imhoof al Corriere della Sera. Il suo amore per le api ha origini lontane. Il nonno, infatti, aveva una fabbrica di conserve e confetture, e terreni con alberi da frutto. «Aveva tanti animali — continua — ma i miei preferiti erano proprio le api. Senza di loro non avrebbe potuto fare la marmellata: questo cerchio naturale era alla base della sua attività. Aveva una bellissima casa per le api con 150 alveari dentro. Si recava da loro ogni giorno, persino il giorno di Natale, perché diceva che in quell’occasione facevano un “rumore speciale”. La cooperazione tra i membri di questa grande famiglia che è lo sciame mi ha sempre affascinato, fin da bambino, passavo ore a osservare la casa delle api e l’andirivieni di queste splendide creature». Grazie al nonno, Imhoof ha potuto scoprire come si sviluppa il dialogo tra i fiori e le api: «Sono storie d’amore tra le piante, che non possono abbracciarsi e quindi hanno bisogno di qualcuno che faccia loro da tramite. La gente normalmente non se ne rende conto, è un “dialogo” che si dà per scontato, ma non è così: nelle serre si devono mettere le api che svolgano questo lavoro come in fabbrica», chiarisce.
«Esperte di fragranze»
Le api sono le migliori esperte di fragranze al mondo. Tanto che il professore Randolf Menzel dell’Università Libera di Berlino — che da tanti anni studia il cervello delle api — usa il termine «odore stereo». Menzel studia, in particolare, «come i profumi arrivano al cervello dell’ape. Ogni profumo forma il suo proprio segno nel cervello. Menzel li fotografa, persino: ogni profumo è tradotto in un carattere/segno che viene riconosciuto dal cervello», spiega Imhoof. Per la maggior parte delle persone, «l’udito e la vista sembrano essere i sensi più importanti, tuttavia, per sapere se qualcuno ti piace o meno, il profumo è esistenziale. È importante almeno quanto il suo aspetto. Come sarebbe il mondo se si potesse percepire tutto solo con il naso? Come percepiremmo lo spazio e le persone? Le api possono usare l’odore dell’alveare per orientarsi, noi siamo in grado di dire da dove proviene un odore sgradevole o appetitoso, ma l’ape può dirlo con precisione grazie alle sue antenne mobili». E proprio gli odori sono stati fondamentali anche durante le riprese del documentario: «Abbiamo utilizzato soprattutto l’odore della regina. Da un lato, le api hanno un odore della loro “stalla”: ogni alveare ha il suo profumo specifico. Questo è prodotto da una ghiandola odorosa nell’addome delle api, ed è sparso dalle api all’ingresso dell’alveare. È come un’insegna di un pub appesa davanti all’apiario. Di solito un’ape non entra in un’altra casa. Se si sposta l’alveare, le api sono confuse. L’odore della regina, d’altra parte, tiene insieme l’intera colonia: una peculiarità usata in parte nel film per attirare le api in un certo posto».
Senza polline a rischio frutta e verdura
Una parte del libro si concentra, poi, sulle vicende di alcuni apicoltori che hanno fatto la storia. A colpire l’autore sono stati soprattutto due apicoltori, e la contraddizione insita nelle loro storie. «Il primo è un apicoltore americano che viaggia con le sue api attraverso tutto il continente: le ama, ma le fa lavorare su scala industriale, non dando loro un attimo di tregua. Il secondo è Fred Terry, un apicoltore che vive in Arizona, che ha accettato di lavorare con le cosiddette “api assassine” che alleva seguendo i loro ritmi e le loro esigenze, può controllarle solo minimamente e deve accettare il fatto che abbiano una testa loro, che si difendano, e per questo deve prestare ancora più attenzione e portare loro un grande rispetto». Anche con le api che non sono aggressive, spiega, «si dovrebbe lavorare nel modo in cui lavora Fred Terry. La gente conosce le api “assassine” come api molto aggressive e pericolose per l’uomo, e questo aggettivo ci fa concentrare sul loro carattere perdendo di vista il fatto che anche loro producono miele, e si possono allevare con le dovute cautele». Quello che non bisogna mai dimenticare, e che rende comprensibile la loro importanza a tutti, è che «se le api scomparissero, tanta frutta e tanta verdura sparirebbe dai supermercati».
Consumi consapevoli
Senza dimenticare come in vaste aree del mondo la mancanza di api sta già provocando situazioni assurde: «Nella Valle di Maoxian, in Cina, abbiamo visto gli impollinatori umani al lavoro durante la fioritura dei meli. Uomini e donne passano lunghe giornate arrampicati sui rami di melo a impollinare i fiori, uno ad uno, con un pennellino intinto nel polline. Lavoro molto faticoso e fatto con strumenti non adatti, quando le api lo fanno con tutto quello che la natura ha fornito loro e sono molto più efficienti». Anche in Europa esistono apicoltori professionisti che viaggiano con le loro api, ad esempio dalle pianure alle valli alpine. In America, invece, l’apicoltura nomade è sempre legata alle monocolture. «Più monocolture ci sono, più l’apicoltura deve diventare industrializzata. Il miele è — quindi — meno importante dell’impollinazione, e questa forma totalitaria di agricoltura richiede enormi quantità di pesticidi (in Europa gli antibiotici sono vietati per le api, ma nessuna ape può sopravvivere senza altro aiuto farmacologico. Le sostanze utilizzate contro la varroa destructor — l’acaro parassita esterno che attacca le api — devono ovviamente essere utilizzate solo dopo la raccolta del miele, ndr). Ecco perché sostengo l’acquisto di miele di cui si conosce la provenienza, leggendo cosa c’è sul barattolo e non comprando l’anonimo miele industriale».
Il Pianeta ha bisogno della nostra consapevolezza
Conoscere questi insetti e i segreti di chi quotidianamente se ne prende cura è — quindi — la chiave per proteggerli. «Sono rimasto molto stupito dal successo del mio film — confessa —. È bello vedere che se si racconta qualcosa che riguarda tutti c’è dell’interesse. E l’interesse è l’inizio per diventare consapevoli. Vorrei che il documentario non venisse guardato sul cellulare, perché le api meritano uno schermo più grande, come quello del festival di Locarno, ad esempio. E speriamo che avvenga l’impollinazione delle idee». Per invertire la rotta, bastano poche e semplici azioni. «Vogliamo sempre più miele, sempre più mandorle, sempre più fragole, ma senza perdere tempo, senza spendere troppo e senza subire punture di api. Dobbiamo essere consapevoli del ruolo che le api svolgono, dobbiamo conoscerle per apprezzarle, solo così possiamo fare scelte per difenderle. Forse non è ancora troppo tardi per riavvicinarci alla natura, perché, qualunque cosa accada, la natura può vivere senza l’uomo, ma l’uomo non può vivere senza la natura». Un ruolo fondamentale — conclude Imhoof — gioca anche la politica. «Miller, l’apicoltore americano che ama il rumore dei soldi, nel film dice che se a morire così copiosamente fossero altri animali da allevamento come bovini o polli, la politica interverrebbe in modo massiccio. Invece, se a morire sono le api, insetti, piccoli, che non emettono lamenti e fanno meno impressione, si è intervenuti da subito poco. La politica può fare la differenza, supportando ricerca e divulgazione». Ai singoli, invece, resta il compito di essere consapevoli, «scegliendo cibi prodotti nel rispetto dell’ambiente e gestendo i propri spazi, siano essi piccoli giardini o anche il prato, nel modo più naturale possibile».
Danza e democrazia
L’ultimo focus riguarda, proprio, alcune curiosità riguardanti il film da cui tutto è partito, e nel quale viene descritto l’affascinante sistema di comunicazione tra le api, in particolare la danza dell’addome. «Filmare questo balletto con la cinepresa, per prima cosa ha richiesto l’uso della luce (che non scaldi troppo perché i favi sono fatti di cera …). Il modo in cui le api possono percepire questi movimenti ritmici delle loro compagne al buio, sia che ciò sia dovuto solo alle correnti agli spostamenti d’aria o ai suoni dei movimenti ritmici delle loro zampe, è ancora un segreto». Oltre che la struttura organizzativa precisa dell’alveare, erroneamente definita spesso come gerarchica. «La regina è la madre di tutte le api — evidenzia Imhoof —. Quando muore, tutti si accorgono subito che manca il suo odore, ma non è una dittatrice. Quando è vecchia o malata, le api operaie possono decidere di far nascere una nuova regina. Nutrendo la larva per tutto il tempo con la pappa reale con cui nutrono le larve delle operaie solo per i primi tre giorni di vita, possono trasformare una larva che doveva essere un’operaia in una regina. La sopravvivenza dell’intero sistema, dell’intera famiglia, è la priorità assoluta, e non l’individualità delle singole api, sebbene ci siano differenze tra di loro». Si tratta, insomma, di una forma di democrazia molto sofisticata da cui anche noi umani possiamo imparare molto. «Quello che mi affascina molto è lo sciame, quando nasce una nuova regina, la vecchia deve volare via con le vecchie api. La giovane regina, che è stata “fatta” dalle operaie, si prende cura dell’alveare vecchio e delle scorte di miele con le giovani api. Il vecchio sciame vola via e poi si posa su un ramo o, come nel film, su un cactus. Le “api scout” volano fuori e stanno cercando un nuovo posto per creare un nuovo alveare, e “raccontano” della loro scoperta con la danza dell’addome sulla superficie dello sciame appeso. Possono essere necessari tre giorni per prendere una decisione. Un’ape che ha suggerito un posto peggiore può alla fine essere convinta da un’altra e poi ballare per un posto che nemmeno conosce. Questo è un processo decisionale democratico, al termine del quale tutto il popolo vola verso il luogo scelto da tutti».
Silvia Morosi
Fonte: il Corriere - 07.03.2021