I recenti interventi di alcuni intellettuali sul tema della scienza, in particolare quelle fatti in relazione alle numerose esternazione della Senatrice Cattaneo sulle questioni riguardanti l’agricoltura, sollecitano la ripresa di una riflessione seria sul ruolo della scienza nella moderna società, cercando di affrontare il peso e il ruolo che, tanto le posizioni scientiste, quanto di quelle che potrebbero definirsi ascientifiche, rivestono nei problemi, piccoli e grandi, che l’umanità si trova ad affrontare.
Transform-Italia ha iniziato da qualche tempo (vedi ad esempio l’articolo di Roberto Rosso della scorsa settimana) a proporre alcune questioni per riprendere questa discussione.
Sembra utile riprendere alcuni punti sulla questione agricola, sia per l’importanza che riveste nella vita delle società umana, sia perché, in questi giorni, oggetto di interessanti discussioni.
Vale la pena iniziare con una premessa un po’ provocatoria: quando si discute di scienza bisognerebbe distinguere tra “Scienza” e “Applicazioni tecnologiche di osservazioni scientifiche”.
Forse la differenza profonda tra prima e dopo la rivoluzione industriale è stata proprio l’avvio di una poderosa attività di sviluppo delle “applicazioni tecnologiche alle osservazioni scientifiche”. Ciò ha portato l’enorme sviluppo di tecnologie largamente utilizzate dall’uomo, ma ha avuto anche una retroazione non sempre positiva sulla scienza e sulla società. Da un lato, le applicazioni tecnologiche hanno significativamente indirizzato e condizionato la ricerca pura e dall’altro, queste, sono principalmente finalizzate a dare risposte ad una esigenza immediata che risponde spesso ad un interesse “privato”, più che ad un interesse pubblico. Uno dei risultati più pratici di tutto ciò è la riduzione delle risorse a favore della ricerca “pura” a favore della ricerca per le applicazioni tecnologiche.
Ora, mentre esiste il ragionevole dubbio che gli interessi economici condizionino la ricerca scientifica pura, sia negli indirizzi che essa deve prendere, sia nell’entità delle forze da impegnare nei vari settori, tale dubbio non esiste per quanto riguarda la ricerca sulle “applicazioni tecnologiche della scienza”.
Uno dei casi più lampanti è quello sulla mobilità elettrica dove il mondo del petrolio ha ostacolato per molti decenni lo sviluppo di tecnologie per la mobilità elettrica.
Lo stesso discorso vale per l’Agricoltura: gli interessi politici ed economici hanno indirizzato in modo assoluto gli orientamenti della tecnologia e condizionato la stessa ricerca pura.
Le applicazioni tecnologiche di osservazioni scientifiche in agricoltura: Un evento emblematico da cui partire
La rivoluzione industriale dell’agricoltura potrebbe avere una data di nascita abbastanza precisa: l’inizio del secolo XX.
Infatti, anche se i primi passi sono precedenti e riguardano l’utilizzo di fertilizzanti naturali (principalmente fosforo e azoto) provenienti dalle miniere, l’evento cruciale fu la messa a punto del processo industriale per la sintesi dell’ammoniaca (processo Haber-Bosch). Il processo, messo a punto nel 1910, era pensato essenzialmente per rifornire di nitrati l’industria bellica per la produzione di esplosivi. Tale processo servì in seguito per la produzione massiccia di fertilizzanti azotati.
Una cosa simile avvenne per i fitofarmaci. Prima studiati per ammazzare i soldati nelle trincee della prima guerra mondiale e poi per cercare di eliminare gli insetti nocivi nei campi.
Da qui in poi si è avuta una trasformazione radicale di tutto il lavoro agricolo, con l’uso massiccio di petrolio per far andare le macchine agricole, per trasferire l’acqua per l’irrigazione e per produrre fertilizzanti e fitofarmaci.
Prima di questa rivoluzione, il fattore principale applicato all’agricoltura era il lavoro degli uomini e degli animali, dopo di essa l’elemento principale è diventato il forte input esterno di energia che ha sostituito quasi completamente il lavoro umano. Prima della rivoluzione industriale l’agricoltura era la principale fonte di energia della società, oggi invece essa è uno dei principali consumatori di energia.
L’agricoltura, come la scienza, ha cambiato il suo scopo principale
Da quando è iniziata la colonizzazione europea del mondo l’agricoltura ha cambiato il suo scopo principale. Infatti, mentre per circa 10.000 anni il principale scopo degli agricoltori è stato quello di produrre, nel modo più efficiente possibile, alimenti per sfamare la propria comunità,
oggi la finalità non sembra più essere quella di sfamare le persone, bensì quella di permettere immensi guadagni a pochi speculatori e garantire il controllo politico di mezzo mondo. In sostanza, oggi, anche l’agricoltura ha perso la sua funzione sociale diventando un ulteriore elemento nei giochi speculativi del mondo finanziario.
Naturalmente anche in epoche preistoriche la sovrapproduzione di alimenti dava potere e ricchezza a chi controllava le produzioni agricole, ma il fine principale di esse rimaneva sempre quello di avere cibo in abbondanza per garantire la prosperità di tutta la popolazione.
Con l’affermarsi delle potenze coloniali europee, soprattutto attraverso l’imposizione delle monocolture di spezie, caffè, zucchero di canna, tè e frutta esotica, intere nazioni sono state costrette dai governi europei e dalle grandi compagnie commerciali, sotto la minaccia delle armi o con l’ausilio di spietate dittature, a coltivare un unico prodotto agricolo.
La monocoltura non è stata solo un mezzo per arricchirsi, ma è divenuto il principale strumento politico per mantenere in una posizione di dipendenza, sudditanza e sottosviluppo intere nazioni.
In sostanza il fattore cardine che ha condizionato e plasmato la rivoluzione industriale dell’agricoltura, e tutti i successivi mutamenti tecnologici, è stato questo divenire dell’agricoltura il principale strumento per arricchire pochi potenti e dominare popoli e paesi, piuttosto che un progetto per garantire il cibo alle collettività. Ciò è stato fatto grazie ad un uso spregiudicato delle applicazioni tecnologiche di osservazioni scientifiche.
È soprattutto nella seconda metà del XX secolo che si ha l’aumento esponenziale dell’utilizzo di fertilizzanti, antiparassitari e diserbanti e, conseguentemente, l’enorme aumento del consumo di energia per produrli.
Il balzo in avanti si è avuto con la cosiddetta “rivoluzione verde”. Con questo “slogan” tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, la “rivoluzione industriale” dell’agricoltura ha assunto con maggior peso un ruolo determinante nell’imposizione di meccanismi di controllo politico-economico agli agricoltori di tutto il mondo.
Questa rivoluzione si autoproclamava come la soluzione per rispondere ai problemi della fame in molte parti del mondo, ma come si può rilevare da un gran numero di studi e statistiche, non solo non ha risolto i problemi di sottonutrizione ma ne ha aggravato le dimensioni e le cause strutturali. Ad esempio, guardando i dati FAO si nota come la percentuale di persone denutrite in India (paese “pilota” della “rivoluzione verde”) ha avuto uno strano andamento passando dal 20% nel biennio 1990/92 al 17% alla fine degli anni ’90 per tornare al 20% nel biennio 2005/07, con un aumento complessivo in valore assoluto di circa 65 milioni di affamati. Lo stesso è avvenuto in Africa centro-sud (+49 milioni di affamati).
Mentre la Cina, dove le multinazionali agricole e il Fondo Monetario hanno meno potere, ha ridotto, sia in percentuale che in valore assoluto, il numero di affamati.
Mentre nei secoli d’oro del colonialismo europeo il controllo politico economico era attuato direttamente con la violenza fisica e l’oppressione militare, oggi tale controllo è attuato con meccanismi economici, con la proprietà e i brevetti sui semi e con la vendita di prodotti chimici. Quasi tutta la cosiddetta ricerca scientifica, in questi ultimi decenni è stata orientata a sviluppare applicazioni tecniche mirate a rafforzare questi elementi. Il principale sforzo della ricerca scientifica non è stato mirato (ad esempio) a studiare migliori metodi di coltivazione o a trovare il modo per studiare e preservare le diverse varietà vegetali più adatte a crescere nei diversi territori, ma è stato quello di mettere a punto prodotti chimici, varietà vegetali e animali e macchinari, adeguati ai meccanismi commerciali e produttivi delle grandi multinazionali, mirate a produrre i massimi profitti e capaci di garantire il controllo sulle produzioni e sul commercio.
L’ultimo capitolo della ricerca è stato quello dell’introduzione degli OGM che, mentre non si sono dimostrati, sino ad oggi, particolarmente efficaci per il miglioramento delle produzioni agricole, hanno aggravato la dipendenza da fertilizzanti e fitofarmaci, rendendo ancor più dipendenti gli agricoltori dalle multinazionali agricole da cui devono comprare sementi e pesticidi.
Il tema degli OGM rappresenta un ottimo esempio di come potere e profitto condizionino lo sviluppo delle applicazioni tecnologiche delle osservazioni scientifiche. Basti osservare come il principale OGM diffuso sui mercati mondiali è quello che conferisce alla pianta una maggiore resistenza ad un diserbante (il famoso glifosato), di modo che gli agricoltori sono orientati a comprare e ad utilizzare sempre maggiori dosi di tal diserbante.
Questo tipo di ricerca è la stessa che, almeno fino a tempi più recenti, grazie all’attenzione e al valore di alcuni prodotti, ha portato tendenzialmente a far scomparire molte varietà di vegetali e di specie animali di grande valore alimentare e nutritivo. Questo è il caso di molte varietà di frumento o di razze suine o bovine meno produttive o semplicemente meno adatte agli allevamenti intensivi. (esempi:
fino a un secolo fa al mondo di consumavano circa 500 tipi di cereali, mentre oggi la quasi totalità dei cereali consumati e fatta da 5 specie;
oggi quasi la totalità di suini allevati (almeno nel mondo occidentale) è costituita da una solo razza di maiale.
Cambiamenti piccoli e grandi
I cambiamenti provocati dalla rivoluzione industriale hanno avuto conseguenze rilevanti a livello mondiale sia sulle tecniche agricole, sia sull’intera organizzazione sociale dell’agricoltura. Ciò vale tanto per i paesi in via di sviluppo quanto per quelli sviluppati.
Osservando questi cambiamenti, si può comprendere quanto siano molto discutibili le osservazioni della Senatrice Cattaneo sul tema dell’agricoltura biologica. Il punto principale su cui insiste la Senatrice Cattaneo nel suo attacco al biologico a difesa dell’agricoltura industriale è il tema della produttività dei terreni. La Cattano insiste nel sottolineare come, grazie agli sviluppi tecnologici ottenuti dalla ricerca scientifica, la produttività dei terreni agricoli sia maggiore di quella ottenuta dal biologico (si stima un 15%-20%). A tale proposito bisogna sottolineare l’agricoltura industriale, in molti casi, ha effettivamente aumentato la produttività di alcune colture o la resa degli allevamenti. Ma la maggiore produttività si è riscontrata solo in condizioni particolari: grandi estensioni di terreni arabili con molta disponibilità di acqua e con forti input energetici sotto forma di carburante e prodotti chimici. Peraltro, per vari motivi connessi proprio alle tecniche applicate, spesso l’aumento della produttività, si è avuto solo per i primi anni per poi scemare negli anni successivi. Le grandi quantità d’acqua utilizzate per l’irrigazione, oltre a ridurre drasticamente le riserve idriche, peggiorano la qualità dei suoli e ne riducono la fertilità. Gli effetti più gravi riguardano in particolare la progressiva salinizzazione dei terreni, la riduzione progressiva della resistenza all’erosione e della capacita di trattenere e scambiare i nutrienti con le piante e infine la minore capacità di trattenere l’acqua. A questi problemi l’attuale modello risponde con una maggiore quantità di fertilizzanti e antiparassitari. Insomma un vero e proprio circolo vizioso.
Lo stesso è avvenuto negli allevamenti industriali, che hanno permesso di produrre carne in quantità maggiori a prezzi più bassi. Ma con una moltitudine di effetti negativi:
- un uso smodato di antibiotici per gli animali. (i medici sono molto preoccupati per la prossima crisi sanitaria provocata dallo sviluppo della resistenza agli antibiotici)
- la sottrazione di terreni all’agricoltura per produrre mangimi (oltre un terzo delle terre arabili del modo sono destinate a produrre soia e mais per gli animali)
- aumento dell’inquinamento delle acque per gli scarichi zootecnici, e dell’emissione dei gas serra (la FAO stima nel 14% delle emissioni totali di gas serra provengono dagli allevamenti)
Le regole imposte ai contadini dall’agricoltura industriale sono state la causa principale della distruzione fisica di intere comunità e dell’impoverimento di milioni di persone in tutto il mondo. Milioni di contadini sono stati costretti alla fuga verso le megalopoli urbane. Infatti, molti di questi contadini che prima riuscivano a produrre il cibo necessario al loro sostentamento, adesso sono costretti ad impegnare tutte le proprie risorse (tempo, soldi, acqua, ecc), per produrre quell’unico prodotto, che va venduto a prezzi sempre più bassi alle industrie agroalimentari. La riduzione del margine di guadagno per unità di prodotto impone ai contadini di produrne quantità sempre maggiori, rinunciando forzatamente a utilizzare risorse fisiche ed economiche per produrre altro. La conseguenza ineluttabile è che milioni di contadini, soprattutto del sud del mondo, sono sempre più indebitati.
Questi meccanismi dei “liberi mercati” (meglio sarebbe definirli “mercati con le regole del più forte”) non si sono limitati a colpire i contadini dei paesi più poveri, ma hanno già prodotto gravi danni anche ad agricolture come quella italiana, mettendo forzatamente fuori mercato, attraverso meccanismi speculativi, interi settori produttivi come quello del frumento e quello di molte varietà di frutta.
Va sottolineato, in proposito, il caso del frumento che appare così grave da mettere in discussione la sicurezza alimentare del nostro Paese. Va infatti ricordato che, mentre molti contadini italiani (in particolare nel sud) sono costretti a lasciare incolte grandi estensioni di terreno dove fino a pochi anni fa si produceva frumento, oggi importiamo grano duro e grano tenero per una quota pari rispettivamente a circa il 35% e al 60% del fabbisogno nazionale.
Bisognerebbe prestare più attenzione a notizie di cui poco si parla; ad esempio in televisione e nei giornali non è mai stato raccontato che negli ultimi decenni è aumentato drammaticamente il numero di contadini che si suicidano per la disperazione, per l’impossibilità di pagare i debiti che sono stati costretti a fare, per l’impossibilità di garantire un livello di vita decente alle proprie famiglie. Ciò non è avvenuto solo nelle aree più povere dell’Asia, per esempio nell’India meridionale dove il tasso dei suicidi tra i contadini è altissimo (il modo più usuale scelto per suicidarsi è quello di bersi un po’ di pesticidi sempre ampiamente disponibili), ma anche nei paesi ricchi come nelle pianure del Midwest negli Stati Uniti.
Queste regole non solo hanno impoverito gli agricoltori di tutto il mondo, ma hanno anche cercato (spesso riuscendoci) di spazzare via secoli di pratiche agricole che avevano permesso di mantenere pressoché intatta la capacità del suolo di produrre alimenti.
Ad esempio nel nostro Paese sono quasi del tutto sparite, o fortemente ridotte, pratiche di “aridocultura” sviluppatesi nel corso dei secoli nei territori centrali e meridionali con minore disponibilità idrica. Tali pratiche garantivano, in sintonia con l’ambiente, in modo complementare produzioni agricole e produzioni animali. Ad esempio, la transumanza era una maniera naturale per utilizzare in modo efficiente le risorse naturali disponibili (l’acqua e il suolo) in accordo con le caratteristiche climatiche dei territori nelle varie stagioni e per garantire razionalmente, senza impatti ambientali, il ritorno, attraverso vere e proprie “strade naturali”, dei nutrienti nei terreni. Chiara a tutti è l’importanza della rotazione delle colture che è stata per secoli uno dei principali metodi di difesa della fertilità del suolo e di controllo dei parassiti. La fine di questa pratica ha comportato effetti gravi sulla fertilità dei suoli e sulla capacità di controllo dei parassiti e delle piante infestanti che hanno potuto proliferare, anno dopo anno, ben adattandosi, nonostante gli antiparassitari, nelle grandi distese di monoculture. Naturalmente la risposta a questi problemi è il rafforzare un circolo vizioso: l’aumento dell’utilizzo di antiparassitari e di fertilizzanti.
Ma non preoccupiamoci, oggi si sono inventati l’agricoltura di precisione, dove con l’elettronica e tanti piccoli robot impollineremo i fiori, e daremo alle piante tutta l’acqua, i fertilizzanti e gli antiparassitari di cui necessitano! (Naturalmente il tutto sarà governato da un algoritmo inventato dalla Divina Provvidenza).
La cosa che più di tutte colpisce della filosofia di questa “agricoltura senza agricoltori” è l’assoluta perdita di attenzione al ruolo del suolo che, da principale fattore che garantisce la fertilità, è divenuto un semplice “supporto” su cui posare le colture, tant’è che proliferano le idee e le ipotesi di coltivare alimenti direttamente nell’acqua o in tubi con dentro un supporto semisintetico. Ci si è scordati che è la struttura dei suoli ciò che permette, con delicati equilibri, l’accumulo ed il rilascio di acqua, la quale a sua volta consente l’accumulo e lo scambio di nutrienti con le piante. È infatti per questi motivi, e non solo per fattori climatici, che su alcuni suoli alcune piante crescono meglio di altre. Il dimenticarsi del ruolo che ha il suolo e della necessità di difenderlo ha provocato e provoca eventi disastrosi. Non bisogna smettere di ricordare che il suolo non è una cosa morta. Il suolo è una cosa viva, è l’elemento principale su cui può crescere la vita, con l’acqua, con i suoi microbi, i suoi insetti, insomma con il suo delicato equilibrio ecologico è il principale fattore di fertilità, di vita.
Oggi, finalmente anche la Commissione europea sembra accorgersi della necessità di tutelare il suolo e la Biodiversità. Infatti il Parlamento europeo ha approvato nell’aprile scorso una importante Risoluzione per la protezione del suolo, e una relazione di sostegno alla strategia sulla biodiversità (COM 2020/380), dove oltre a rafforzare la necessità di garantire la protezione del suolo e della biodiversità si sviluppano critiche sia ai ritardi della Commissione a varare norme sulla protezione dei suoli, sia sulla debolezza dimostrata verso i produttori di fitofarmaci e fertilizzanti.
I problemi per il futuro
Gli studiosi più avveduti hanno già pronunciato la sentenza: questo modello agricolo non ha futuro, perché troppo legato al consumo di energia, e troppo impattante sugli aspetti ambientali e sanitari.
La ricerca scientifica dovrebbe essere più impegnata a trovare il modo di consolidare quei metodi di coltivazione e allevamento, adatti ai singoli territori e più in grado di garantire migliori condizioni ambientali e sociali, piuttosto che studiare nuove “applicazioni tecnologiche” per meccanizzare sempre più l’agricoltura e l’allevamento, a benefico delle multinazionali del cibo.
Riccardo Rifici
Fonte: Transform Italia - 30.06.2021